venerdì 14 giugno 2013

Crocifissione




http://evilthings.net/2012/03/22/la-crocifissione-tortura-disumana-ma-anche-sinonimo-di-resurrezione/

Tra le pene capitali, quella della crocifissione era una delle più terribili; diffusa presso molte popolazioni antiche come gli Assiri, i Persiani, gli Indiani e gli Sciiti, fu portata in Occidente da Alessandro Magno. La utilizzarono poi i Cartaginesi ma soprattutto i Romani. Essendo allora una tortura atroce ed umiliante, non poteva essere comminata a un cittadino romano me veniva applicata agli schiavi, ai sovversivi e agli stranieri. Chi era condannato alla crocifissione veniva costretto a portare il patibulum (il palo orizzontale della croce) sulle spalle fino al luogo della crocifissione mentre era flagellato e poi veniva spogliato e appeso ad una croce, che a volte consisteva in un singolo palo o in una struttura a V rovesciata. Le mani del condannato erano fissate alla croce mediante chiodi ed eventualmente legate al patibulum con pezze di stoffa e al collo del condannato era appesa una targa con una scritta che indicava il suo crimine. La morte avveniva in genere per asfissia, a causa della compressione del costato; lenta, dolorosa e terrificante, era una punizione esemplare e un segno di disprezzo per chi la subiva e un monito per chi ne era testimone. All’epoca dei Romani, infatti, gli uomini crocifissi venivano lasciati morire sulla croce sotto lo sguardo dei passanti. Per la religione cristiana la crocifissione di Gesù è indissolubilmente legata alla resurrezione e alla salvezza dell’umanità. In realtà l’utilizzo della crocifissione, benché in casi isolati, è andato avanti per secoli, come indicano alcune testimonianze: presso i Turchi nel Trecento, in Giappone nel Seicento, in Sudan e Madagascar nell’Ottocento e due episodi in Occidente nel Novecento, durante la prima e la seconda guerra mondiale (rispettivamente nei campi di prigionia austroungarici e nel campo di concentramento di Dachau).

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